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Il Kangaroo Babywearing: la soluzione per i prematuri

fascia per kangaroo babywearing

I bambini appena nati sono così piccoli che sembrano potersi “spezzare” da un momento all’altro, anche sotto una pressione minima. Abbiamo quasi paura di toccarli e di prenderli in braccio proprio perché sembrano essere fragili. I neonati prematuri lo sono ancora di più: sono ancora più piccoli e ancora più fragili poiché non hanno ancora raggiunto il momento giusto per la nascita, quindi non sono ancora pronti. Per loro il momento della nascita è ancora più traumatico rispetto ad un bambino che ha raggiunto le quaranta settimane di gestazione. Proprio per questo motivo richiederanno ancor più il contatto con i genitori, in particolare con la mamma. Ma come fare per tenere il bambino per la maggior parte del tempo a contatto con il proprio corpo e in sicurezza? Qui viene in aiuto il Kangaroo Babywearing di cui ti vogliamo parlare proprio in questo articolo. 

In cosa consiste il Kangaroo Babywearing?

kangaroo babywearing tecnica

Il Babywearing, ovvero il “portare il bambino”, non è nato troppo di recente, anzi. Le sue origini sembrano risalire a secoli fa, altro che moda dell’ultimo momento! 

La pratica del babywearing ha sempre aiutato le mamme di ogni epoca a tenere con sé i bambini anche mentre sbrigavano le faccende di casa o andavano ad aiutare nei campi. Si erano accorte anche loro sin da subito che il bambino, se a contatto, piangeva e si lamentava molto meno rispetto a quando veniva tenuto solo in culla o nel lettino. 

Come ti abbiamo spiegato anche in un altro articolo, il babywearing è una pratica che consiste nel “portare il bambino” tramite supporti appositi come la fascia, rigida o elastica, o come il marsupio ergonomico. 

Questa pratica ha tantissimi effetti positivi sui neonati, ma anche sui prematuri, che sono ancora più desiderosi di contatto con i genitori. A dirlo non siamo noi, ma degli studi partiti nel 1970. Prima di proseguire con il racconto vogliamo fare una precisazione: il Kangaroo babywearing, o Kangaroo mother care, si riferisce solo alla tecnica utilizzata nei confronti dei bambini prematuri, che presenta qualche differenza con “la classica” che tutti noi conosciamo. Fra le differenze principali troviamo una fasciatura più “contenuta” e l’impiego di fasce molto elastiche e morbide, adatte sia alla pelle che al corpo delicatissimo del neonato prematuro.

Il babywearing fa bene ai prematuri, lo dice anche la scienza!

fascia elastica babywearing

Nel 1986 l’autorevole American Academy of Pediatrics pubblicava i risultati di un esperimento in un modernissimo ospedale di Montreal. Il campione era formato da 99 mamme e dai loro neonati. Lo scopo era quello di verificare se, come qualcuno credeva, i bambini tenuti in braccio presentavano una riduzione significativa del pianto rispetto a quelli che, invece, venivano lasciati nella culletta. Così, dopo aver verificato che effettivamente i neonati portati in braccio piangevano il 45% in meno degli altri, hanno riscontrato che questo fatto non si può negare: tenere in braccio i bambini, o tenerli a contatto con il corpo, fa bene.

Prima di questo esperimento ufficiale, però, ne furono condotti altri, anche nei bambini prematuri

I primi utilizzi del Kangaroo Babywearing

Negli ospedali colombiani negli anni ‘70 le cullette termiche erano insufficienti e il numero di bambini prematuri troppo alto. Così si è pensato: se la pratica dello stare vicino alla mamma funziona con i cuccioli di canguro, funzionerà anche con i cuccioli di uomo. E così è stato.

Negli anni successivi molti studi hanno confermato i benefici effetti del contatto tra mamma e bambino anche sui neonati con un peso inferiore ai 600 g. Oggi sappiamo che il Kangaroo babywearing permette al neonato di mantenere una temperatura corporea costante, migliora il ritmo cardiaco e respiratorio, riducendo le apnee. Inoltre, favorisce l’allattamento al seno, determinando una riduzione significativa delle infezioni gastrointestinali. Questo diminuisce fortemente il ricorso ai farmaci e a ulteriori cure che esporrebbero comunque il neonato a dei rischi. In ultima analisi, possiamo dire anche che riduce l’eventuale durata e i costi di ospedalizzazione, assicurando complessivamente una maggiore percentuale di sopravvivenza del neonato.

A partire dal 1979 questa pratica si è estesa a molti paesi del Centro e del Sud-America, ma nella nostra penisola, purtroppo, è ancora utilizzata a piccole dosi e con molta diffidenza.

Eri a conoscenza di questa pratica e dei suoi benefici?

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